lunedì 23 gennaio 2017

Uno spot per Dante - La pubblicità secondo Luigi Malerba

Luigi Malerba, scrittore "maliziosamente ironico" aderente al Gruppo 63, per alcuni anni fece anche il pubblicitario. L'ho scoperto recentemente incappando in questo suo pezzo pubblicato su la Repubblica del 21 maggio 1994. Lo ricopio integralmente (ma se preferite leggere la fonte, cliccate qui).

Pubblichiamo l'intervento che Luigi Malerba ha pronunciato ieri al Salone del libro di Torino al dibattito su "Letteratura e pubblicità: il testo e il messaggio".

La pubblicità è l'anima del commercio, diceva un vecchio slogan. Io vorrei affermare qui che la pubblicità è l'anima della letteratura. Dal momento che è pubblicato, un libro è un oggetto che bisogna cercare di vendere. La lettura non è indispensabile. Una volta ho teorizzato il non-lettore, determinante per il successo di qualsiasi libro.

Quando un libro è entrato in una casa finisce che qualcuno lo leggerà e se non lo legge ha fatto in ogni caso un buon acquisto perché il libro è un oggetto dove non c' è relazione fra il prezzo e il valore: con quindici o ventimila lire, ma oggi anche con mille lire, si compra la Divina Commedia. 


Negli anni Cinquanta-Sessanta mi sono occupato attivamente di pubblicità commerciale. Ho fondato una società pubblicitaria e per cinque anni ho fabbricato Caroselli televisivi e shorts pubblicitari da proiettare nelle sale cinematografiche per vari prodotti industriali, dalla benzina Supercortemaggiore (quando il poeta Leonardo Sinisgalli era capo dell' ufficio pubblicità dell' Eni), alle caramelle Dufour, ai prodotti Gazzoni con Fred Buscaglione che cantava, parodiando una sua canzone famosa, "eri piccola, piccola così" tenendo fra le dita una Pasticca del Re Sole. 

Ho capito da quella esperienza che nella pubblicità commerciale funziona meglio di ogni altro il meccanismo della associazione di idee, o nella pubblicità visiva, della associazione di immagini (pubblicità analogica). 

Se chi succhia una caramella di una certa marca possiede (nello schermo) una lussuosa barca a vela, il futuro cliente penserà come minimo che queste sono caramelle di lusso perché le consumano persone ricche e eleganti e si dirà: voglio essere in buona compagnia. Servirà a ben poco dire ai futuri acquirenti comprate queste caramelle perché hanno un buon sapore, perché non contengono coloranti, perché sono fatte con prodotti di prima qualità. Non è gran che dire che sono dolci, meglio dire che vi renderanno dolce la vita. 

No dunque alle argomentazioni, sì alle suggestioni. 

Nessuno allora mi ha offerto di fare la pubblicità di libri, ma in quel caso avrei sperimentato volentieri l'idea di offrire sogni spropositati. Nella pubblicità dei libri di solito si promettono emozioni, qualità della lettura, divertimento, (pubblicità argomentativa) tutti piaceri comuni che subito il futuro lettore pensa di potere sostituire con un pranzo al ristorante insieme agli amici. 
Mai mettersi in concorrenza con gli spaghetti. O con altri piaceri che si possono conquistare senza impegnarsi nella lettura che è sempre, oltre che un piacere (e nemmeno sempre lo è) è anche una fatica. 

Io credo che la pubblicità dei libri dovrebbe sforzarsi di far sognare il futuro lettore. 

Promettere, senza timore di esagerare, che la lettura aumenta l'intelligenza e la memoria (e lo crederanno subito i più cretini), offrire il sogno, la felicità, la bellezza - anche il Paradiso se non lo avesse già proposto il Cristianesimo - come effetti della lettura senza timore di esagerare. 

Soprattutto associare alla lettura di un libro (o meglio all' acquisto perché la lettura come ho già detto non è indispensabile) immagini di sogno come facevo io con le caramelle Dufour, come fanno le industrie automobilistiche, che di pubblicità se ne intendono, o come fa Barilla con il Mulino Bianco. 

La lettura dona la felicità e in qualche caso cancella le rughe. Chi può dimostrare il contrario? (pubblicità iperbolica). 

Sono invece contrario al terrorismo argomentativo tipo Benetton che fa parlare della pubblicità stessa e non del prodotto. I manifesti-shock di Benetton hanno fatto parlare molto della pubblicità, ma dubito che abbiano fatto vendere molti maglioni. Detto questo, io non sono contrario alla pubblicità tradizionale. Non disprezzo quello che c' è. 

I premi per esempio, anche se invece di incoraggiare la lettura di libri intelligenti anche se difficili, tendono a premiare libri che hanno già successo da se stessi o che si presume possano averlo. Il motivo è semplice. I premi vogliono fare pubblicità soprattutto a loro stessi attribuendosi poi il merito del successo del libro premiato, che in realtà ci sarebbe stato comunque. Se le vendite aumentano dopo il premio, è anche perché gli editori su un libro premiato investono volentieri decine di milioni di pubblicità. Ma già il fatto di indurre gli editori a spendere in pubblicità è un merito non da poco. 

Insomma la pubblicità è sempre utile, qualunque sia la forma che adotta. 

Per esempio i saloni o le fiere del libro come questo di Torino o quelli di Francoforte, Bologna, Bordeaux, Parigi. Ma questa la definirei pubblicità di primo grado, che serve ad avvicinare ai libri un pubblico intimidito dalle librerie e che finalmente si trova a contatto diretto con questo oggetto misterioso e pericoloso, può toccarlo sfogliarlo comprarlo e portarselo a casa. Soprattutto si tratta di allontanare l'idea che, acquistato un libro, la lettura sia un dovere. 

Fruttero e Lucentini su questa linea hanno proposto di saltare le prime 40 pagine del Robinson Crusoe, io ho proposto, quando un libro è troppo lungo, di leggere solo le pagine di destra, le pagine dispari.

Chissà se questo carosello "Supercortemaggiore" è stato scritto e prodotto da Luigi Malerba.




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