martedì 8 aprile 2014

Segno o son desto? La pubblicità come "discorso morale"

Emanuele Coccia
Per quanto paradossale possa apparire questa tesi è la pubblicità oggi a farsi carico di questa funzione cosmogonica. E' la pubblicità che "fa mondo": fa l'inventario delle cose, così come esse appaiono, le nomina individualmente per nome e cognome (non ci parla di una generica "zuppa al pomodoro", ma della Campbell's Soup); le descrive, le ordina, le cataloga, prova ad esplicitare il valore di ogni cosa, il suo bene.

Attraverso la pubblicità, anche se in maniera maldestra e sempre incompleta, le nostre città provano a passare dal disordine all'ordine e soprattutto a cogliere ogni volta la bellezza che sta nelle cose: c'è uno splendore della reificazione che è la forma più radicale dell'essere-nel-mondo, senza vie di uscita. 

Dobbiamo imparare a strappare alla pubblicità la verità che essa custodisce e non smette di gridare. Non smettiamo di cercare e trovare bellezza nelle cose e attraverso le cose: una sciarpa, una camicia, una giacca, ma anche un rasoio, dei pigmenti in polvere, una crema.

Il bene è nelle cose, perché tutte le cose sono il nostro ornamento. Esse sono, alla lettera, il nostro mondo.

Il bene nelle cose, Emanuele Coccia, 2014, il Mulino.

Una recensione di Maurizio Ferraris: Perché le cose ci rendono felici.

1 commento:

marco fossati ha detto...

maria nadotti sul libro di emanuele coccia: la pubblicità del bene:
http://bit.ly/1hJDoPV